Il titolo della mostra è preso in prestito dal primo verso della poesia Three Airs del poeta e critico d’arte americano Frank O’ Hara, dalla raccolta Lunch Poems (1953-1964) dedicata alla città di New York, al camminare come pratica associativa, ai suoi ritmi e ai colori della città. Questo primo verso si traduce in un neon azzurro su una parete della galleria, una conversazione fulminea – come un’improvvisa visione durante una camminata – con l’autore della poesia: “Yes Frank, so many things in the air!”. Il neon illumina la stanza dove, da due casse stereo, una voce ripete le soste di una lunga camminata intorno ai margini di New York declamando nomi di luoghi, strade, ore del giorno, alternandosi e sovrapponendosi a campi sonori registrati tra il 2016 e il 2018 dallo stesso Rovaldi. Five Walk. NYC è anche il frutto della collaborazione tra Antonio Rovaldi e il Sound Designer Tommaso Zerbini. L’installazione è composta da cinque capitoli - quanti sono i boroughs della città - ed è un flusso costante di voci e geografie sonore. Come un alterego dell’artista, una voce accompagna all’ascolto lungo una linea sonora circolare, passando da ambienti urbani rumorosi a angoli più interstiziali, periferici, dove il silenzio ritrova spazio per articolare il racconto di un viaggio che si sviluppa attraverso pause e ripensamenti. La prima stanza della galleria raccoglie cicli fotografici realizzati tra il 2018 e il 2019. Fotografie in piccolo formato, come una costellazione di punti nello spazio, raccontano una geografia che si ricompone attraverso il tempo di un viaggio a piedi e quello ricostruito successivamente dentro le pagine di un libro. Alcuni interventi scultorei disseminati nei tre ambienti della galleria dialogano con le fotografie nello spazio sonoro e liquido di una città semi sommersa dall’acqua: un viaggio dentro le immagini e nel processo stesso della fotografia. L’ultimo piano è occupato dall’installazione video The Rest of The Images. Il video, frutto della collaborazione tra Rovaldi e la regista Federica Ravera, è al tempo stesso documentazione della pratica artistica dell’artista all’interno del suo luogo di lavoro e relazione stretta tra il camminare, la fotografia (i suoi processi e supporti) e il montaggio delle immagini in una sequenza. Non per ultimo, la relazione tra colui che filma e colui che è filmato. Le fotografie che le mani dell’artista muovono sul pavimento del suo studio ridisegnano geografie e le traiettorie di palle che schizzano nello spazio, veloci e casuali, suggeriscono nuove possibili direzioni, mentre il volto di una città si allontana e il suo suono si abbassa. Ancora una volta Rovaldi torna a riflettere sulla relazione tra immagine e movimento fisico del corpo che cammina, sul ricordo di un’esperienza geografica avvenuta tempo addietro e l’esigenza di ripensarne le distanze, nella convinzione che i luoghi sono sistemi elastici complessi e non contenibili in un’unica immagine.
