Palazzo Zuckermann ospita una personale dedicata a Ernesto Mattiuzzi, pittore veneziano che frequentò l'Accademia di Belle Arti della città lagunare diplomandosi nel 1919 nel corso speciale di Disegno di Figura.
La mostra offre una selezione di dipinti e di disegni di Mattiuzzi che coprono un periodo che va dagli anni Venti agli anni Settanta e provengono dalla collezione del figlio Mario, che nel corso del tempo ha custodito con cura le opere del padre. A questi si aggiungono quattro dipinti che sono stati donati al Museo di Padova sempre da Mario Mattiuzzi: Scuola di nudo nel 1985, in occasione dell'antologica tenutasi a Padova nella Galleria Civica di piazza Cavour, mentre gli altri tre nel 2018.
L'esposizione si apre con una serie di autoritratti, in alcuni dei quali il pittore si rappresenta circondato dalle sue opere e dagli strumenti di lavoro come la tavolozza, la cassetta dei colori e i pennelli. A dimostrare l'importanza che egli dava al disegno, in un dipinto si raffigura esibendo sul tavolo in primo piano il volume in cui sono raccolti i suoi disegni. In un'altra opera, dal sapore simbolista, si rappresenta fra un gatto nero e la Morte coronata di alloro, a prefigurare la gloria futura che gli arriderà.
Vengono quindi presentati alcuni ritratti esemplificativi di un percorso che va dal giovanile ritratto della madre, austero nella sobrietà del taglio e della descrizione, al Ritratto di gentildonna (La dama in giallo), emblematico del classicismo di Mattiuzzi, come si può vedere dalla composizione sapientemente calibrata e dal raffinato colorismo del soprabito con riflessi luminosi.
Mattiuzzi praticò anche il tema del nudo femminile e maschile. Il dipinto conservato nel nostro Museo mostra un nudo maschile disteso e colto di spalle che sembra ambientato in un improvvisato atelier. Dal titolo – Scuola di nudo – si evince che si tratta di un'esercitazione, la copia dal vero della figura umana: ciò giustifica l'accademismo con cui viene trattata la posa.
Non mancano le cosiddette scene di genere, che ben riflettono il realismo figurativo scelto dal pittore come la via più rispondente al suo profondo amore per la natura e per le piccole cose della vita quotidiana. Per Mattiuzzi il realismo non è "la riproduzione meccanica e scientificamente obiettiva del vero, che non ha in sé alcuna espressione, ma la ricreazione fattane dall'artista in modo personale e soggettivo".
Mattiuzzi raffigura anche vecchi mestieri, vivi nella pittura veneta, come per esempio quelli dei lavoratori dei campi e dei venditori ambulanti.
Il suo realismo si fa carico delle disarmonie e delle inquietudini della realtà quotidiana, ma in modo pacato. Nei dipinti legati a problematiche sociali sono assenti la denuncia e il riferimento politico: lo si può ben vedere nell'opera intitolata Il comizio del 1948 dove non si coglie alcuna tensione.
La natura morta è un soggetto congeniale a Mattiuzzi sin dagli esordi; qui egli esprime tutte le sue qualità virtuosistiche. Si vedano, per esempio, i lavori giovanili come L'anguilla del 1922 e Natura morta con le zucche del 1923, che rivelano una sostanza costruttiva tanto più notevole se si tiene conto che sono realizzati con la tecnica dell'acquarello.
Infine, per quanto riguarda vedute e paesaggi, si va da Venezia. Il molo dalle colonne della Punta della Dogana del 1929 fino alla Casa colonica a Pozzale di Cadore del 1962, passando per Tristezza invernale e Verso sera, dove si coglie un senso plastico della pittura.
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