L’opera di Francesco Bocchini mette in discussione costantemente l’alternanza di Eros e Thanatos. Da un lato vi è un vitalismo dirompente, un gioco di movimenti fisici e mentali che sa sempre coinvolgere lo spettatore, dall’altro non è un artista che vuole piacere a tutti i costi. Sia nei meccanismi che nelle ultime bellissime carte, il recupero di immagini e di materiali preesistenti, già vissuti, è l‘occasione per liberare pulsioni nascoste, istinti mal trattenuti dalla società. Per questo Bocchini, maestro del riuso dai cartoni usati per le stampe dei tessuti a Gambettola, alle lamiere dei rottamatori romagnoli, ha sempre creato un proprio universo, magico, anarchico, sensibile alla storia e alla cultura sia essa alta che a quella più popolare. La sua è anche una koinè linguistica in cui le lingue diventano una, italiano, francese o tedesco si mescolano in una pervasività degli elementi visuali che sono sempre in tensione. Nelle carte, spesso di grandi dimensioni, il colore assume campiture vaghe e incombenti, le immagini appartengono al clipping, sono ritagli di vecchi giornali, foto recuperate, avanzi di una memoria pubblica abbandonata nella dimenticanza del tempo. L’artista poi opera anche sui volti delle forme di oscuramento che ricordano le foto di John Baldessari, il grande artista e fotografo americano di origine trentina. Una forma di censura psicanalitica o un modo per far risaltare, nascondendo. Il piacere allora non è solo quello di un Eros che è pur presente in molti dei lavori in mostra, ma è anche quello del testo, per ricordare un celebre saggio di Roland Barthes. Francesco Bocchini possiede infatti una forza narrativa costante, è un attento lettore che costruisce racconti visivi. Nelle sue opere c’è sempre qualcosa che sfugge o viene cancellato, qualcosa che ci spinge alla curiosità di riguardare e di saperne di più. L’artista costruisce dei meccanismi, visuali o reali, ma si tratta comunque di macchine che producono senso e piacere. Anche quando i suoi lunghi elenchi di persone scritti a mano, sembrano appunti per un cimitero di eroi piccoli e grandi. La sua arte ha sempre un respiro profondo, lo spettatore completa l’opera con le sue domande, con i mille interrogativi che le opere di Francesco Bocchini fanno affiorare stimolando l’inconscio a rivelarsi. Valerio Dehò
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