Il 29 aprile del 1972 moriva a Treviso Juti (Luigi) Ravenna, artista eccellente e attento critico d’arte. A oltre cinquant’anni della sua scomparsa, i Musei Civici di Treviso gli dedicano una retrospettiva al Museo Bailo, la cui pinacoteca conserva un suo importante nucleo di opere.
La mostra, curata da Eugenio Manzato ed Eleonora Drago, presenta, attraverso un percorso cronologico, le varie fasi dell’attività e della vita dell’artista, con oltre 100 opere pittoriche, disegni, bozzetti e acquerelli, ma anche con documenti e foto d’epoca e oggetti a lui appartenuti, tutti provenienti da collezioni private per lo più locali e ovviamente con la rinnovata esposizione al pubblico delle opere dell’artista già di proprietà civica.
Ravenna nasce a Spadacenta, frazione del comune di Annone Veneto, nel 1897. Già da giovanissimo manifesta una forte propensione per la pittura, espressa in una serie di disegni di impronta classica: una passione che neppure la chiamata al fronte, nel primo conflitto mondiale, riuscì ad attenuare. Come testimoniano gli album di disegni realizzati in presa diretta sulle linee di combattimento, disegni che sono in parte confluiti nel libro autobiografico Una vita per la pittura (1969, curata da Giuseppe Mesirca con 29 suoi disegni) e nel Diario di guerra del granatiere Giuriati Giuseppe, con prefazione di Giovanni Comisso. Grazie ad una licenza dal fronte raggiunge Firenze, e qui entra in contatto con la pittura e gli scritti di Ardengo Soffici e scopre l’impressionismo francese. Dal 1919 è nuovamente in Veneto per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Venezia, e già negli anni successivi trasferisce il suo studio a Ca’ Pesaro, cominciando ad esporre. Nel capoluogo lagunare conosce Gino Rossi e Pio Semeghini; con Seibezzi e altri condivide a lungo l’amore per l’isola di Burano e per le vedute tra acqua e cielo.
La prima personale, nel 1924 a Cà Pesaro, è curata a Nino Barbantini. Seguono partecipazioni alla Quadriennale e a diverse mostre di rilievo in Italia e all’estero. La prima sua Biennale è del 1928, presenza puntualmente ripetuta sino al secondo conflitto, per riprendere nel 1949 e ancora nel ’50 e nel ’72. Conosce e frequenta, nel 1928, Filippo de Pisis, che al rientro da Parigi fu suo ospite a Venezia.
L’attività pittorica di Ravenna viene avvicinata alla generazione di giovani artisti gravitanti su Venezia, desiderosi di uscire dagli schemi di un accademismo ancora imperante per avvicinarsi al nuovo che stava avanzando in Europa. I suoi paesaggi veneziani di questi anni, così come successivamente quelli trevigiani, raccontano i luoghi, le luci, le atmosfere attingendo al registro poetico più che a quello documentario.
Nel ’51, con Virgilio Guidi vince il Premio Burano, ma già dal ‘47 aveva scelto di abbandonare la laguna per approdare a Treviso, città che frequentava sin dagli anni ’30 e dove contava molti amici.
Da lì in poi, la sua pittura vede una svolta: come segnalato da Mesirca, “Il trasferimento a Treviso, a contatto con una natura esuberante, ricca di alberi e fiumi, fece subentrare in lui una prepotente e calda sensualità: dopo i prediletti grigi, rosa e violetti stesi sulla tela in finissimi accordi nel periodo veneziano, ecco i colori vivi e splendenti, in liberi e arditi accostamenti. Non si trattava però di un orgiastico e confuso abbandono, ma di una felice esplosione contenuta entro i limiti del più rigoroso controllo.”
Frequenti sono i suoi soggiorni tra i colli e la campagna veneta, dove realizza scorci e vedute di paesaggi, ma anche visioni del Sile, nei quali i colori divengono sempre più vividi e potenti, distaccandosi dalla realtà, in parallelo con l’allontanamento dell’artista dai movimenti militanti dell’arte d’avanguardia, che si sviluppavano a Venezia. Negli inverni, dalla fine degli anni ’50 spesso si rifugia in Liguria; inoltre, realizza l’originale serie delle “Boutiques”, eseguite nell’arco di quasi un quarantennio.
Artista ma anche critico. In questa veste, oltre che con suoi disegni, interviene su diverse riviste: nel 1943, con Egidio Bonfante, pubblica “50 disegni di Picasso” e, sempre con Bonfante, nel ’52, “Arte Cubista”.
Il percorso di mostra, ripercorrendo i momenti e i luoghi della vita e dell’attività di Juti Ravenna, è articolato in dieci sezioni, e presenta dipinti, acquerelli e disegni, ma anche una ricca e preziosa selezione di documenti, scritti e fotografie dell’epoca. Si avvale della partecipazione di generosi prestiti da collezionisti privati e discendenti, amici e conoscenti di Ravenna, con pezzi per lo più poco noti e talvolta inediti, oltre ovviamente alle opere già di proprietà dei Musei Civici di Treviso giunte in collezione nel corso dei decenni.
L’esposizione parte dal luogo di nascita in cui ha ricevuto la prima formazione, iniziata fin dall’adolescenza con la frequenza della Scuola di Arti e Mestieri di Motta di Livenza, dove ha avuto tra i suoi insegnanti Antonio Beni, architetto e pittore, e dove compie i primi esperimenti nella pittura ritraendo i familiari e la casa natale. Oltre alle prime prove pittoriche e a disegno – tra le novità di questa mostra – si passa quindi alle sue residenze veneziane: lo studio a Ca’ Pesaro tra il ’23 e il ’28, quello a Palazzo Carminati dal ’28 al ’47; sono di questo periodo, cruciale nella vita e nell’attività dell’artista, opere fondamentali come Il discepolo e l’Autoritratto con la stufa, nonché nature morte e vedute di Venezia e di Burano, composizioni strutturate e dal solido disegno con le quali Ravenna si avvicina al novecentismo. I rapporti con Treviso iniziano ben prima del 1947, quando vi si trasferisce, e ve n’è testimonianza in alcuni acquarelli del 1942 giunti al Museo col lascito Luccini; personaggi e vedute trevigiane costituiscono, insieme alle “boutique” e a qualche paesaggio ligure, l’ultima parte della mostra, che termina con una ricostruzione dello studio d’artista, ambiente che ha sempre segnato le sue fasi biografiche, grazie anche all’esposizione di suoi strumenti di lavoro.
Attraverso un viaggio che inizia dalle primissime prove eseguite dal giovane Juti prima del trasferimento a Venezia, vengono evidenziate le diverse e molteplici fasi artistiche e biografiche dell’autore, scandite da incontri e stimoli intellettuali, culturali e sociali, testimoniati dai ritratti a penna e pennello; ma sempre mantenendo viva un’attenzione vera e profonda alla propria interiorità, che in mostra emerge dai preziosi autoritratti, posti a marcare le fasi di una personale idea di arte e vita unica e irripetibile.
«La retrospettiva dedicata a Juti Ravenna rappresenta un’altra importante e preziosa occasione di valorizzazione del nostro patrimonio artistico», afferma il sindaco Mario Conte. «Grazie a prestiti privati e alla collezione dei nostri Musei, ci sarà infatti la possibilità di ammirare le opere del pittore che proprio a Treviso, complici le meraviglie paesaggistiche che contraddistinguono la nostra Città e il suo territorio, visse un periodo di particolare vivacità artistica».
La mostra sarà accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo che raccoglierà, oltre all’elenco delle opere esposte con relative foto, una serie di contributi che mirano ad approfondire aspetti meno noti alla letteratura sulla figura di Juti Ravenna, come gli esordi giovanili, i primi anni veneziani e il lungo periodo di attività a Treviso (Eugenio Manzato ed Eleonora Drago).
Inoltre, saranno presenti alcuni saggi con focus tematici: la produzione a tema sacro (Paolo Barbisan),
rapporti quotidiani e privati con amici e intellettuali come Giovanni Comisso (Mario Sutor) e altri artisti (Daniela Chinaglia).
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