MI RITORNI IN MENTE
LEI è marisa gramola
sogna e dipinge in bianco e nero la sua vita che si perde, in giro nel paese. La sua difficoltà di identificare la realtà ne fa un soggetto interessante, perché è di quelli destinati a perdersi. Le sue storie sono storie di solitudini, non si possono datare: quando è stato che lei s’è trovata seduta su di una panca accanto o appoggiata a una donna che non è sua madre? e dov’era quella volta che s’è trovata sola sulla porta in fondo alle scale, e nell’oscurità dell’accaduto lei è ancora sulla porta e di lato, in una luce appena disegnata? e perché una notte di paura s’è trovata in una collina grande quanto una montagna, lei è isolata dentro un paesaggio vasto e nero, intanto che grossi e minacciosi ammassi nuvolosi stanno per ingoiarsi la casetta, e di lato c’è la pianta secolare che la protegge?
LUI è lorenzo lovo
è un pittore di origine e passione contadina, nato e vissuto a Quinto Vicentino, quando Quinto era ancora un covo di case, un’appendice del mondo, dietro l’argine tra Vicenza e Treviso, lui e’ andato presto a lavorare come argentiere a Vicenza, che è la capitale dell’architettura d’arte mondiale. A Vicenza ha frequentato la scuola di pittura di Otello de Maria, ma i temi della sua ispirazione sono stati subito quelli della campagna, con i cieli che vanno a cadere dietro gli orizzonti, i personaggi che s’incantano sul posto: il contadino, l’arrotino, la matrona rurale, gli animali e le case di terra, la sua pittura nasce come crisi del rapporto naturale col mondo, e proprio per questo il messaggio più intimo è il grido di recupero della maternità natale, dell’in¬fanzia deviata, della lontananza violata.
LEI…
Un esistenzialismo di tagli biografici, taglienti nella grafica di scena, ritagli misteriosi di un'infanzia a rischio, in pericolo di cadere in posti inaccessibili, dove spuntano certi segreti di una memoria che fa venire i brividi, e viene voglia di gridare l'allarme: chi salverà questa bambina ignara che si mette a giocare e lo fa in posti pericolosi con delle mosse di danza come fanno le bambine, mentre che il ritaglio del mondo è fatto di una geometria non chiara, frattalica, come un resto del mondo dimenticato e pericoloso, perché nessuno lo pratica, e dove un qualunque incidente non ha la via di ritorno. L'idea è kafkiana, Kafka scrisse libri atroci e dolorosi. Questa bambina sta lì sotto e non viene più fuori, lo sa? Questo rende ancora più drammatica l'idea artistica. Inesorabile l’architettura di questi spazi, è disegnata col destino. Il mondo è quello della paura, degli incubi, di luoghi e spazi nei quali poi quando si cade non se ne viene più fuori, né si sa come uscirne: una bambina a cui succede questo è per sempre al nero della sua visione.
LUI…
dopo la scuola, aprendosi alla vita moderna e contemporanea, è andato sviluppando la coscienza mitica del proprio passato popolare, nella doppia chiave classico-romantica. Sia i temi della tradizione veneta tra la scena armonica dei cieli e il tonalismo pittorico di Giorgione, Tiziano e Tintoretto, sia i patemi della biografia periferica e solitaria sono angosciosamente esposti a tutte le paure e le ansie della catastrofe contadina, il risultato è una pittura di grande racconto, intonata alla nostalgia di un mondo che sogna l’estetica di una periferia quando questa era ancora tutta fatta di campi e nuvole, e, dietro, a strapiombo e occulti, s’indovinavano gli orizzonti.
Lui… poi esistono le cose, e Lovo quando le vede, le guarda come fossero già vite eterne, secondo un’aura mitografica in pianura, in collina, in forme di casolari della stessa materia dei campi, ma anche piante della stessa materia dei casolari, e in forme umane della stessa materia delle cose che stanno in giro per i campi: viveva sui prati, per questo adesso che è diventato grande e fa l’artista le fa così bene: il cavallo che beve alla bevarara in una pozza del campo, dei ciclisti col tabaro che salgono dalle colline curvi a sparire in fondo ai campi, il contadino del posto che s’appoggia a una pianta, è in piedi e guarda sempre lo stesso punto del mondo, la donna che sta sulla soglia del casolare, è grande e si fa sulla soglia, traverson fatto-su e avvolto sui fianchi: è la stessa donna di contrada di cui parla anche Camon, la faccia grande e piatta come una pignatta, e gli occhietti come due orifizi in cima alla fronte. Le cose hanno la stessa materia dell’eternità, l’eternità è fatta di tutta la solitudine che hanno le cose di questo mondo di campi e di colline, é l’eternità dei temporali o della luce che abita da sempre queste arie sconfinate e perse dietro le case.
LEI…
è più moderna, ma non è uno scandalo, proprio perché essendo moderna non ha paura che il mondo vada a franare, non è la stessa paura di questo pittore, che ha paura di essere rimasto solo a disperarsi in un mondo che sta per franare, queste cose di lui che sono eterne perché sono mitiche come tutte le cose e le pose della periferia, le valli o i pendii, i campi o le diagonali in caduta dalle colline, e quel cielo di rovine e di nuvole scure a dare messinscene ad un mondo che vive di modernità, e di un’altra poesia di un altro destino.
LEI… così queste pitture di LEI prendono un’aura fotografica anche per lo stile assoluto del bianco e nero che ne stigmatizza l’ottica e ne radicalizza l’impianto, oltre che per questa irruzione dell’istantanea che rompe e interrompe tutti i tempi discorsivi e trascorsivi della figurazione, e li fulmina nell’immobilità del fotogramma. Un’irreale sensazione di fossilità ne stigmatizza ancora di più la pretesa archeologica, fissa al loro proprio genere documentario queste storie vive del mondo, e ne impressiona la pellicola in una pittura tenuta ancora nel genere della pittura. Si capisce allora qual è il gioco di questa operazione la cui intenzione più espressa è quella di una visione appresa alla macchina da presa, e ciò per due motivi: spostare l’arte verso la forma del diario, e spostare la vita in un’illusione sovranamente tecnica. Non senza avvertirne il richiamo di un neo-realismo cinematografico, che qui viene ricordato nella soggettistica d’epopea popolare, e ancora dolosamente sacrificato all’altare maggiore del world-system, al mercato e a tutte le sue agenzie di vendita; ma anche per quell’elemento di fondamentalismo estetico che è l’uso rigorosamente binario del bianco e nero, tra cecità e visionarietà, buio ambientale e focalità della luce.
Salvatore Fazia