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Omaggio a Moggioli (1886-1919)

  • Dal 10/09/2020 al 08/12/2020
  • GALLERIA INTERNAZIONALE D’ARTE MODERNA DI CA’ PESARO Venezia, Santa Croce, 2076, (Venezia)
  • Sito web: https://capesaro.visitmuve.it/
  • Tel.: +39 041 721127

Ca’ Pesaro riapre con una mostra dedicata a Umberto Moggioli. La mostra si propone di ripercorrere – attraverso una selezione di venti opere, fra oli, disegni e acqueforti di assoluto livello qualitativo – quel segmento di produzione che meglio rappresenta e identifica il pittore nell’immaginario collettivo. Umberto Moggioli muore nel gennaio 1919. Nella primavera di quell’anno riprendono, dopo le devastazioni della prima guerra mondiale, l’attività espositiva dell’Opera Bevilacqua La Masa a Ca’ Pesaro. La mostra dedicata a Umberto Moggioli si propone di ripercorrere – attraverso una selezione di venti opere, fra oli, disegni e acqueforti di assoluto livello qualitativo – quel segmento di produzione che meglio rappresenta e identifica il pittore nell’immaginario collettivo. La sua attività di paesaggista, per lo più ispirata alla Venezia “minore”, periferica, delle isole e barene lagunari, è ben testimoniata da alcuni dipinti che proprio grazie alle rassegne giovanili di Ca’ Pesaro e all’azione promozionale di Gino Damerini dalla “Gazzetta di Venezia”, incontrarono il gusto del pubblico e l’apprezzamento unanime della critica. Il paesaggio lagunare e le isole dell’estuario costituiscono il nucleo tematico della mostra, la quale copre un orizzonte temporale ristretto ai quattro anni del soggiorno buranello dell’artista (dicembre 1911-marzo 1915). I dipinti presentati da Moggioli alle esposizioni capesarine, specialmente dopo il 1909, mettono in evidenza gli aspetti più sentimentali e sinestetici del “fare” pittura, intesa come strumento in grado di coinvolgere emotivamente lo spettatore. Il pittore cerca negli accordi cromatici non solo di rendere le vibrazioni atmosferiche legate alle stagioni e al variare delle ore del giorno, ma anche di sollecitare i sensi facendo leva sulle potenzialità allusive dei toni. Paradigmatici, in tal senso, oltre al ben noto Ponte verde, sono alcuni lavori esposti alla “Permanente” di Palazzo Pesaro nel 1912: in Paesaggio in sole, Dalle barene di S. Francesco del Deserto e nell’Isola del silenzio, la componente poetica si traduce visivamente nei grandi cieli serotini solcati da nubi ricche di sfumature lilla. Le stesse risonanze liriche e lo stesso potere attrattivo si avvertono nel decorativismo dei cirri biancastri, sinuosi e filiformi, che occupano più di metà inquadratura in Cipresso gemello e Burano. L’itinerario espositivo include opere solitamente non visibili al pubblico, provenienti da collezioni sia pubbliche che private, gran parte delle quali transitate nelle sale di Ca’ Pesaro (il riferimento è alle mostre del 1912 e 1913 e a quelle postume del 1919 e 1925). Per la prima volta sarà possibile ammirare, una di fianco all’altra, e a distanza di più di settant’anni, le due immagini dell’isola di Burano osservata dall’alto, con gli orti coltivati lambiti dalla laguna e le sue case variopinte illuminate dalla luce vespertina. Ma sarà anche un’occasione unica per vedere riuniti a Sera di primavera – il «quadro crepuscolare» (le parole sono di Nino Barbantini) esposto alla XI edizione della Biennale –, gli altri oli coinvolti nella filiera creativa, aventi anch’essi per soggetto Burano, vista dalla poco lontana isola di Torcello; tutti dipinti non esenti da interferenze culturali mitteleuropee, che nel linearismo avvolgente e nelle sinuosità fitomorfe dichiarano i legami in essere con la cultura simbolista fin de siècle, mentre le pennellate ampie e fluenti, fuse in campiture omogenee, si ritrovano, assieme alle suggestive gradazioni fredde del cobalto, nei coevi Notte a Mazzorbo e Canale di Saccagnana, quadri appartenuti rispettivamente a Omero Soppelsa e al medico condotto di Burano, Alfonso Abbruzzetti. L’esposizione vuole dunque essere un tributo doveroso a una personalità di assoluto rilievo, affatto marginale, che pur nell’autonomia del proprio percorso espressivo, ha indissolubilmente legato il suo nome a quello dell’avanguardia capesarina, contribuendo a rinnovare il panorama figurativo veneziano dei primi due decenni del Novecento.

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