Giardini disobbedienti, ovvero l’elogio del paradosso. Il giardino è l’espressione di una natura domata, ma disobbediente quando esce dalla logica comune ed è al massimo della sua forza espressiva. Così accade sempre, quando disobbedire diventa necessario, generante e discreto: significa guardare altrove con forza oltre ciò che è stabilito. E questo è osservazione, stupore, riflessione e conoscenza. I quattro pilastri della salvezza. Talvolta la via per costruire un’utopia. Un giardino è come un respiro o un mitocondrio, la relazione ha quindi il valore della necessità per la sopravvivenza: io sono cresciuta in un giardino bellissimo sul Lago Maggiore e le mie stanze da gioco sono state un fico e una camelia dove ogni amico aveva un ramo. Locus amoenus per sempre nella mia memoria, locus terribilis ora per il loro abbandono. Si tratta quindi, per me, di risonanza, quella descritta dal filosofo Hartmund Rosa, in Resonanz. Eine Soziologie der Weltbeziehung, ovvero una sorta di “legame vibrante” con il mondo. Un legame a doppio filo con i Giardini disobbedienti, metafora della natura al di fuori dallo stereotipo funzionale, che non rispetta e riconosce l’ambiente, quando sono uccisi il senso e la comprensione intelligente del Pianeta. E allora questa mostra in fondo è un’inchiesta per andare a scoprire fotografi che qui portano i loro scatti sulla natura (nelle sue infinite declinazioni) in relazione
al loro concetto di immagine. E così ogni foto è la storia di una poetica, di una presa di posizione, di un pensiero, di una riflessione: gli assi di risonanza non valgono per tutti allo stesso modo! Ma di fondo c’è la forza dell’inquietudine di creare un’immagine che deve avere un rapporto dialogante e/o conflittuale con la complessità del mondo contemporaneo, con legittime oscillazioni tra personali Giardini dell’Eden o luoghi di un’Apocalisse.