Scrive Barbara Cappello
Giochi e sogni nella filosofia realistica
- sguardo nelle opere di Adolfina de Stefani e Antonello Mantovani
“Tutto si integra nell'eterno ritorno: ciò lo sanno gli umoristi, i santi e gli innocenti. “
Pier Paolo Pasolini
Quanto l’atto ludico entri ed esca dalle opere di Adolfina de Stefani e Antonello Mantovani, resta un quesito, un punto interrogativo da speculare e ribaltare a sé stesso. Come nel mondo sottosopra di Alice tutto ciò che si palesa si ingigantisce, ribalta, rimpicciolisce, sparisce. Ora l’immagine delle loro opere rimanda a spazi immaginifici, utopici, persuasivi, ora a luoghi concreti, definiti e materici.
Nei luoghi delle deliziose tredici scatole bianche, quali libri tridimensionali entro cui gli oggetti sono il soggetto della narrativa immaginifica, che nel significato immediato pone l’osservatore innanzi a una realtà sognante, nel cui luogo intimo si manifesta quel mondo realistico privo apparentemente di emozione, ebbene entro quelle cornici le porte della fantasia si spalancano tra i contorni utopici, innocenti del bambino insito dentro ogni singolo inconscio.
E, sollevando gli occhi, ci si riconosce negli sguardi multipli, sequenziati di palpebre, ciglia, pupille che apparentemente immoti scrutano chi li guarda. Dunque l’interrogativo di cui sopra espresso si ingigantisce, come gli alberi di inchiostro sospesi nella trasparenza di una lastra di plexiglas. Quale miglior gioco ironico potrebbe avere forma se non occhi immoti verso alberi sospesi, rigorosamente scheletriti per manifestarne la vera essenza e tassativamente plastica? È l’oggettività del simulacro, come uomo e albero che si pongono in dialogo, assenti di corpo umano, presenti di materia artefatta. Una filosofia realistica, quella di Adolfina de Stefani e Antonello Mantovani, entro cui la loro relazione e connessione si esprime attraverso le opere d’arte amorevolmente amalgamate da un legame personale, che ne contraddistingue le loro creazioni.
Di loro potremmo accertare il gioco della tentazione. Ove utopia e ironia si intrecciano, intersecano, misurano.
Tuttavia le morfologie delle opere non sono in contrapposizione e non vi è nemmeno una immedesimazione. Forse solo quel sapiente gioco in cui si fa girare la funicella per saltarvi sopra, senza l’inciampo, ma con un ritmo costante di passo. E proprio nelle opere che rappresentano dei contorni antropomorfi di profili d’amici, scopriamo ancora una volta la relazione, il tentativo di formare delle parole con gli sguardi rivolti verso un cielo di vocali e consonanti, che come stelle propiziatorie illuminano un blu matissiano.
E in questa filosofia realistica il colore è un elemento chiave con forza assoluta. Nel bianco la luce del sogno si specchia e confronta con il nero, quale realtà talvolta di assorbimento, attraverso il giuoco continuo del rosso, quale palpito vitale, come respiro di sofferenza.
Nelle opere di Adolfina de Stefani e Antonello Mantovani la dissimulazione ironica diviene il concetto primo della loro filosofia realistica. Provoco nello scrivere questa apparente dicotomia, perché quello che potrebbe sembrare un luogo che non esiste, specchia sé stesso nella realtà che ci circonda attraverso questo voluto rimando di provocazione che induce ad osservare attraverso l’opera, da loro creata, la realtà che sta di là delle trasparenze e delle convenzioni. A tal proposito non possiamo esimerci dal restare stupiti e rapiti al contempo da quei cappelli realizzati con chiodi o spilli, che con irrisione si titola “Un Diavolo per Cappello”.
Ecco che umoristi, santi, innocenti, e, aggiungo anche artisti, conoscono il gioco in cui tutto si integra nell’eterno ritorno.
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