L’artista veneziano ci racconta un percorso di lettere e di numeri sparsi ovunque. Tobia Ravà utilizza la ghematrià (“gimatreya”, permutazione lettera-numero o peso, il valore numerico delle lettere che compongono le parole nella lingua ebraica) ed i concetti della kabbalah (“ricezione”, tradizione mistica del pensiero ebraico), in cui qualsiasi elemento è legato agli altri. La particolarità del suo lavoro risiede infatti nella texture alfa-numerica legata alla ghematrià e alla kabbalah che studia meticolosamente prima della stesura sulla superficie dell’opera. Egli ricrea i luoghi del reale servendosi di un linguaggio codificato riferito ai numeri relativi alla traslitterazione delle 22 lettere che compongono l’alfabeto ebraico, che hanno un significato al contempo etico, spirituale e numerologico.
Nell’elaborazione delle sue opere Ravà è incappato anche in due scoperte matematiche. La prima relativa alla sequenza di Fibonacci, nello specifico alla sottosequenza con la ripetizione dei 24 numeri, riscontrata con la riduzione teosofica dei numeri della sequenza. La seconda riguarda i numeri primi “corollario di un teorema già noto: il teorema sulla divisibilità di un numero per 9 o più genericamente per la cifra predecessore della base numerica in cui il numero è espresso”, entrambe verificate da Federico Giudiceandrea con l’avvallo di Piergiorgio Odifreddi.
Questa volta i suoi iconici boschi, così come alberi, animali, vortici e architetture hanno un formato nuovo, quello circolare con effetti convessi che rimandano agli specchi dipinti da Jan van Eyck e a molti altri artisti del rinascimento. La forma circolare richiama quella della Madonna del Magnificat di Botticelli e del Tondo Doni di Michelangelo. All’epoca il formato tondo era riservato ad opere destinate al mondo laico per ornare dimore signorili e spesso commissionate in occasione di matrimoni e nascite.
La mostra personale Memorie d’infinito è un’esposizione diffusa organizzata in concomitanza con la Biennale di Venezia, che si snoda in diverse località soprattutto venete, in spazi espositivi particolarmente suggestivi, per cui sono creati degli allestimenti ad hoc in rapporto al sito, a cosa contiene, alla storia del luogo.
Si tratta di una ricca antologia di opere dell’artista veneziano, che ci portano in un autentico viaggio nell’infinito, fatto di numeri e simboli. Ravà ha esposto le sue opere in varie parti del mondo (Italia, Belgio, Francia, Germania, Spagna, Slovenia, Austria, Croazia, Brasile, Stati Uniti, Canada, Argentina, Israele, Marocco, Russia, Cina, Giappone) ed è presente in diverse collezioni sia private che pubbliche. Dal 1988 si occupa di iconografia ebraica. Negli anni è stato promotore di numerose iniziative culturali che sono organizzate in vari luoghi, ma soprattutto a PaRDeS – Laboratorio di Ricerca d’Arte Contemporanea fondato nel 2004 insieme a Maria Luisa Trevisan. Nel 2010 un suo lavoro è stato donato al Papa Benedetto XVI dal rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma e nel 2011 è invitato a partecipare alla Biennale di Venezia. All’interno di una rosa di noti artisti il suo nome è stato selezionato per lo stendardo del Palio di Feltre 2024.
Venezia rappresenta una tappa di questa esposizione che è partita da Legnago, con un’anticipazione a Moriago della Battaglia alla Casa del Musichiere, a cura di Lorena Gava. In contemporanea è stata inaugurata anche la mostra a due con Abdallah Khaled Scoppio di pace nel giardino dei tulipani a Villa Pisani Bolognesi Scalabrin di Vescovana (PD), a cura di Maria Luisa Trevisan e Rubens Tola, mentre altre due personali di Ravà sono state allestite rispettivamente a Noale presso il Palazzo della Loggia a cura di Maria Luisa Trevisan e a Marcon (VE) con il titolo Komorebi - Frammenti di luce presso il Centro Culturale Fabrizio De Andrè, a cura di Siro Perin. Maria Luisa Trevisan
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